Una scossa per riordinare il sistema immunitario

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Una scossa per riordinare il sistema immunitario

Un piccolo magnete messo a contatto con la cute per pochi secondi accende un dispositivo impiantato sotto la pelle che emette una serie di impulsi elettrici, ciascuno di circa un milliampere. Questi impulsi stimolano il nervo vago, un tratto di fibre nervose che corre giù lungo il collo dal tronco encefalico ad alcuni importanti organi, tra cui cuore e intestino.
La tecnica, chiamata stimolazione del nervo vago, è stata usata dagli anni novanta per curare l’epilessia, e dall’inizio degli anni duemila per trattare la depressione.
Recentemente diverse aziende farmaceutiche stanno investendo negli “elettroceutici” – dispositivi che possono modulare l’attività dei nervi – per curare malattie cardiovascolari e metaboliche. Ma l’obiettivo
di controllare l’infiammazione con un simile dispositivo rappresenterebbe un notevole salto in avanti, se riuscirà.
Un farmaco sperimentale chiamato CNI-1493, che frenava l’infiammazione negli animali riducendo i livelli di una potente proteina immunitaria, il fattore di necrosi tumorale (TNF-a). Il CNI-1493 veniva solitamente somministrato endovena, ma un giorno venne sperimentata l?iniezione nel cervello di un ratto. IL CNI-1493 nel cervello aveva ridotto la produzione di TNF-a in tutto il corpo dell’animale. Ulteriori esperimenti mostrarono che ha questo tipo di somministrazione era circa 100.000 volte più potente dell’iniezione endovena. Tracey ipotizzò che il farmaco stava agendo sui segnali neurali.
Alcuni minuti dopo aver iniettato il CNI-1493 nel cervello, si rilevava un’esplosione di attività che si propagava lungo il nervo vago del ratto. Questa autostrada neurale regola svariate funzioni involontarie, tra cui frequenza cardiaca, respirazione e contrazioni muscolari che spingono gli alimenti attraverso l’intestino: la scoperta significava fu che se si riusciva a stimolare il nervo vago, il farmaco non sarebbe stato necessario.
Successivi esperimenti sembravano mostrare che quando il vago è stimolato con l’elettricità, un segnale scorre fino nell’addome, per poi raggiungere, attraverso un secondo nervo, la milza.
La milza funge come una sorta di area di sosta immunologica, dove le cellule immunitarie circolanti rimangono periodicamente per un po’ prima di tornare al flusso sanguigno. Il nervo che entra nella milza rilascia un neurotrasmettitore, la noradrenalina, che comunica direttamente con i globuli bianchi chiamati cellule T. Le giunzioni tra nervo e cellule T somigliano di fatto alle sinapsi tra due cellule nervose; qui le cellule T si comportano un po’ come i neuroni. Quando sono stimolate, le cellule T rilasciano un altro neurotrasmettitore, l’acetilcolina, che si lega poi ai macrofagi nella milza. Sono queste cellule immunitarie che normalmente immettono il TNF-a nel flusso sanguigno quando un animale riceve l’endotossina. L’esposizione all’acetilcolina, però, impedisce ai macrofagi di produrre la proteina infiammatoria.
La stimolazione attraverso i nervi simpatici delle cellule T ne limita l’uscita dai linfonodi e l’ingresso nella circolazione, dove potrebbero scatenare infiammazioni in altre parti del corpo. Ma in molte malattie autoimmuni, questa segnalazione neurale è interrotta.
La stimolazione vagale “agisce indirettamente” attraverso altri nervi.
C’è una potenzialità in questi metodi in quanto in molte malattie autoimmuni i nervi simpatici non solo diventano iperattivi, perché si riorganizzano in circuiti proinfiammatori, ma anche il nervo vago, che li contrasta, diventa poco attivo. La stimolazione vagale potrebbe in parte ripristinare l’equilibrio tra questi due sistemi neurali.
Le fibre nervose coinvolte nella riduzione dell’infiammazione hanno una soglia di attivazione bassa. Possono essere attivate con meno di 250 millesimi di ampere, un ottavo di quanto spesso usato per sopprimere le crisi epilettiche. E se le persone trattate per crisi epilettiche richiedono fino a diverse ore di stimolazione al giorno, gli esperimenti sugli animali hanno suggerito che una singola breve scossa potrebbe controllare l’infiammazione per un lungo periodo. I macrofagi raggiunti dall’acetilcolina non sono in grado di produrre TNF-a per un massimo di 24 ore.
12 partecipanti hanno visto migliorare i propri sintomi nel giro di sei settimane. I test di laboratorio hanno mostrato che i livelli ematici di molecole infiammatorie, come TNF-? e interleuchina-6, sono diminuiti. Questi miglioramenti sono scomparsi quando i dispositivi sono stati spenti per 14 giorni, per poi tornare quando la stimolazione è stata ripresa.
Nature-3 maggio 2017- Kevin Tracey (Feinstein Institute for Medical Research Manhasset), Dianne Lorton (Kent State University Ohio), Akiko Nakai (Università di Osaka), Lorton e Denise Bellinger (Università di Loma Linda California).