La prevalenza dell’obesità pediatrica è in aumento in tutto il mondo.
L’ipotesi “Developmental Origins of Health and Disease”, approccio alla ricerca medica sui fattori che possono portare allo sviluppo di malattie durante le prime fasi dello sviluppo della vita, suggerisce che la programmazione della malattia metabolica inizia nell’utero e dipende dalle esposizioni ambientali sperimentate durante la vita intrauterina.
Studi osservazionali su esseri umani e animali hanno confermato che una nutrizione materna subottimale promuove la propagazione transgenerazionale di malattie metaboliche (ad es. obesità), in parte attraverso alterazioni del metabolismo del substrato della prole.
Elementi centrali nel metabolismo energetico e presumibilmente coinvolti nella trasmissione della salute intergenerazionale, i mitocondri mostrano una notevole plasticità e capacità di risposta a vari stimoli fisiologici e patofisiologici. Le cellule staminali mesenchimali (MSC, Mesenchymal stem cells) contribuiscono allo sviluppo fetale di diversi tessuti, tra cui il muscolo scheletrico. Queste cellule progenitrici sono visibili nel tessuto sviluppato (ad es., cellule satellite) e contribuiscono al mantenimento dello stesso. L’obesità materna è stata collegata ad una minore capacità di ossidazione degli acidi grassi delle MSC del neonato, ad una minore attività del AMPK e alla ripartizione degli acidi grassi verso un’ossidazione completa piuttosto che incompleta.
Queste alterazioni mitocondriali sono parallele all’aumento dell’adiposità infantile e dei livelli di insulina nel sangue del cordone ombelicale e dipendono dalla salute metabolica materna. Ciò dimostra la suscettibilità e la reattività della biologia mitocondriale alle influenze prenatali e potrebbe rappresentare un marcatore precoce del rischio di malattia metabolica preesistente.
Negli adulti non gravidi, l’esercizio aerobico e contro resistenza migliora l’azione dell’insulina e la funzione mitocondriale. Mentre precedenti risultati supportano il potenziale dell’esercizio materno (ME, maternal exercise) per ridurre l’adiposità e l’obesità infantile, i meccanismi biologici sottostanti coinvolti rimangono in gran parte inesplorati.
Nello studio di Jevtovic et al. (Physiol Rep. 2024 May;12(9): e16028. doi: 10.14814/phy2.16028), gli autori hanno voluto indagare se l’esercizio materno influisca sulla funzione mitocondriale e sull’azione dell’insulina delle cellule staminali mesenchimali del neonato e se questi adattamenti sono associati ad una minore adiposità infantile.
Sono state reclutate donne sane tra la tredicesima e la sedicesima settimana di gestazione. Le donne dovevano avere un’età compresa tra i 18 e 40 anni, un BMI tra i 18,5 e 39,9, gravidanza singola e assenza di malattie croniche.
I soggetti sono stati assegnati in modo casuale ad un gruppo che si è allenato in modo aerobico (AE), contro resistenza (RE), o in modo combinato (aerobica+sovravvarichi, metodo a circuito) (CE) o ad uno di controllo, che non si è allenato. Quelle che si sono allenate hanno eseguito esercizi aerobici, contro resistenza o una loro combinazione di moderata intensità (60%–80% del VO2max e 12–14 di sforzo percepito valutato). Ogni sessione era supervisionata. La frequenza cardiaca era monitorata per garantire che le partecipanti ai gruppi di allenamento (AE, CE e RE) mantenessero la loro frequenza cardiaca entro la zona target assegnata.
Il gruppo di controllo ha eseguito esercizi di stretching, respirazione e flessibilità supervisionati a bassa intensità (<40% VO2picco).
I parametri considerati della madre sono stati l’età, parità (il numero di gravidanze portate avanti per almeno 20 settimane), peso e altezza pregravidici e indice di massa corporea (BMI, kg/m2), stato di diabete mellito gestazionale (sì o no), valore della glicemia a un’ora durante un test di tolleranza al glucosio orale (OGTT), aumento del peso gestazionale (GWG), durata della gestazione, modalità del parto e stato di allattamento al seno. Dopo sedici settimane di gestazione, si è valutato il BMI materno e determinata la percentuale di grasso corporeo materno utilizzando la plicometria. Inoltre, tramite sangue prelevato per mezzo di una puntura del dito, sono stati misurati la concentrazione dei lipidi (colesterolo totale, trigliceridi, HDL, non-HDL e LDL) del glucosio e lattato.
Le misurazioni del neonato alla nascita (peso, lunghezza, BMI, circonferenza addominale, della testa e del torace, punteggi Apgar a 1 e 5 minuti) e sesso, sono stati estratti dalle cartelle cliniche elettroniche neonatali. A 1 e 6 mesi di età, sono stati misurati da personale qualificato in una clinica pediatrica il peso del neonato (kg), la lunghezza (m), il BMI (kg/m2) e il grasso corporeo (%).
Sono state raccolte cellule staminali mesenchimali non differenziate dal cordone ombelicale, con l’obiettivo di misurare la sensibilità all’insulina, la capacità mitocondriale e il metabolismo degli acidi grassi.
I risultati hanno evidenziato che i neonati da madri che si sono allenate, presentavano miglioramenti nelle vie di segnalazione dell’insulina correlate ad una maggiore respirazione e ossidazione degli acidi grassi nelle MSC, nonché espressione e attivazione di proteine sensibili al rilevamento dell’energia e allo stato redox (maggiore attivazione dell’AMPK ed espressione della proteina SIRT1 superiore di circa il 30%).
Inoltre, si è scoperto che i neonati esposti all’esercizio in utero erano più magri ad un mese di età, con una significativa correlazione inversa tra la respirazione delle MSC e l’adiposità infantile a sei mesi di età.
Questi dati suggeriscono che i neonati di madri che si allenano sono relativamente più magri, e questo è associato ad una maggiore respirazione mitocondriale delle MSC infantili, utilizzo dei grassi e azione dell’insulina. Insieme, questi dati indicano che le MSC delle madri che si allenano mostrano adattamenti “classici” tipicamente osservati con l’allenamento fisico che contribuiscono a ridurre l’incidenza delle malattie metaboliche.