Le malattie non trasmissibili sono responsabili di circa il 73% di tutti i decessi a livello globale; circa il 31% di tutti i decessi sono direttamente attribuibili alle malattie cardiovascolari, rendendole la principale causa di mortalità a livello mondiale. Nello specifico, la cardiopatia ischemica e gli incidenti cerebrovascolari rappresentano collettivamente l’84,9% di tutti i decessi per cause cardiovascolari, mentre la restante somma della mortalità è una conseguenza di altre patologie cardiache o vascolari. La fisiopatologia sottostante responsabile dello sviluppo delle CVD dipende dalla complessa interazione di una serie di variabili, molte delle quali non chiare, che interagiscono in modo complesso nel corso della vita. Attraverso generazioni di indagini empiriche, i fattori di rischio che contribuiscono alla progressione della malattia cardiovascolare sono stati stabiliti e definiti come non modificabili (come sesso, età ed etnia) o modificabili (come indice di massa corporea, abitudine al fumo, consumo di alcol). L’elevata pressione sanguigna (BP), clinicamente definita ipertensione (HTN), è riconosciuta come il principale fattore di rischio attribuibile sia per le CVD che per mortalità. Si stima che l’HTN colpisca 1,13 miliardi di persone a livello globale e, a causa della sua natura asintomatica, questa cifra potrebbe essere sottostimata. Considerata questa immensa prevalenza globale e le conseguenze della HTN, gli interventi per la gestione della BP sono stati ampiamente studiati nell’ultimo mezzo secolo. Grazie a ciò, è stato dimostrato che numerose opzioni di trattamento farmacologico antipertensivo sono altamente efficaci nel ridurre la pressione arteriosa e di conseguenza nel migliorare gli esiti dei pazienti. Di conseguenza, l’applicazione clinica diffusa della farmacoterapia nella gestione della pressione arteriosa è vasta. Nonostante tale prevalenza, esistono limitazioni sostanziali associate ai farmaci per l’HTN, che sono spesso sottovalutate nella pratica clinica, inclusi gli effetti avversi, l’onere economico e il rischio di errori di prescrizione con conseguenti conseguenze indesiderate. Inoltre, l’aderenza ai farmaci antipertensivi è generalmente riportata al < 50% 1 anno dopo la prescrizione iniziale. Pertanto, l’utilizzo di approcci efficaci, coerenti e non farmacologici potrebbe rivelarsi fondamentale per affrontare la crisi globale dell’HTN. Il trattamento non farmacologico comprende perdita di peso, smettere di fumare, dieta sana, ridotto apporto di sodio nella dieta, aumento dell’assunzione di potassio nella dieta, moderazione nell’alcol e attività fisica. Nello studio di Edwards et al. (Sports Med. 2024 Jun;54(6):1459-1497. doi: 10.1007/s40279-024-02036-x.), gli autori hanno svolto una revisione sistematica e meta analisi per valutare l’efficacia di un allenamento isometrico, considerando i protocolli di prescrizione, la qualità e la certezza delle prove, lo stimolo cardiovascolare acuto e i meccanismi fisiologici alla base dei suoi potenziali effetti antipertensivi. Negli ultimi anni, molti studi hanno valutato gli effetti di un allenamento isometrico (IET) sulla pressione arteriosa, impiegando vari protocolli e modalità di applicazione. Sebbene non sia stato stabilito un unico protocollo di riferimento, la maggior parte della ricerca sul IET ha utilizzato un protocollo legato alla presa manuale (dinamometro), generalmente eseguito al 30% della contrazione volontaria massima (MVC). Al contrario, pochi hanno studiato il IET utilizzando una leg extension, tipicamente applicando un’intensità del 20% MVC o dell’85% Fcmax, tramite un dinamometro isocinetico. Infine, lavori più recenti hanno dimostrato l’efficacia di un IET utilizzando l’esercizio di wall squat, che richiede un test incrementale per stabilire soglie di intensità individualizzate del 95% della Fcmax. Indipendentemente dalla modalità, i protocolli più comunemente studiati richiedono un impegno di tempo di circa 11-20 minuti per sessione. Questo valore è significativamente inferiore a quello di altre modalità di esercizio più convenzionali, con sessioni di allenamento di resistenza aerobica e dinamica che in genere vanno da 30 minuti a > 1 ora. Inoltre, il wall squat può essere applicato senza attrezzatura e il protocollo legato alla presa richiede solo un dinamometro disponibile in commercio. Quello della leg extension, tuttavia, è notevolmente meno accessibile, poiché richiede l’utilizzo di un costoso dinamometro isocinetico o equivalente ed è il meno utilizzato nel campo del IET. I dati provenienti da studi randomizzati e meta-analisi prospettici indicano che la IET è in grado di produrre riduzioni maggiori di quelle osservate seguendo le linee guida sull’esercizio fisico attualmente raccomandate e forse anche maggiori, o almeno simili a quelle della monoterapia antipertensiva standard. Le prove attuali supportano principalmente protocolli del 95% della Fcmax per il wall squat e leg exetnsion e del 30% di MVC per la presa, eseguiti tre o più volte alla settimana per >= 3 settimane, in sessioni di 4×2 min con intervalli di recupero di 1-4 min. Tutte e tre le modalità sono efficaci, con riduzioni della pressione sanguigna sistolica e diastolica in seguito al wall squat, leg extension e alla presa (bilaterale o unilaterale) di -11,41/-5,09, -9,96/-3,69 e -8,34/-4,09 mmHg, rispettivamente. L’efficacia dell’IET può dipendere dall’entità della massa muscolare reclutata, con il wall squat e la leg extension che appaiono più efficaci rispetto alla modalità con impugnatura tradizionalmente utilizzata. Il IET appare sicuro nei pazienti con pre-HTN, HTN di stadio 1, alcune malattie cardiovascolari e malattia delle arterie periferiche, sebbene la letteratura attuale sia limitata nel fornire conclusioni sulla sicurezza del IET in popolazioni più ampie e spesso più complesse, come quelle con patologie dell’aorta o disturbi del tessuto connettivo.