Ad altissima quota, il tenore di ossigeno nel sangue degli scalatori raggiunge livelli straordinariamente bassi, decisamente inferiori a quelli che, a livello del mare, sono considerati critici per la sopravvivenza. Lo hanno stabilito i medici-scalatori della spedizione “Caudwell Xtreme Everest” che hanno eseguito dei prelievi poco sotto la vetta dell’Everest.
Il gruppo di scalatori è salito con l’aiuto di bombole di ossigeno, levando le maschere 20 minuti prima del prelievo, in modo da equilibrare il tenore di ossigeno polmonare con quello atmosferico.
La misurazione non è potuta avvenire sulla vetta a causa delle condizioni atmosferiche eccessivamente dure, con una temperatura di -25°C e un forte vento. Per questo gli alpinisti sono ridiscesi di poche centinaia di metri fino a trovare condizioni che permettessero il prelievo dall’arteria femorale. I campioni, prelevati a quattro membri della spedizione, sono stati poi rapidamente portati al campo base,in meno di due ore, a 6400 metri di altitudine, dove sono stati analizzati.
Scopo dello studio era quello di stabilire se, come da tempo si sospettava, quando gli scalatori si trovano ad altitudini così elevate hanno nel sangue livelli di ossigeno così bassi che a livello del mare si riscontrano solamente in pazienti prossimi a morire. I ricercatori hanno effettivamente riscontrato una pressione di ossigeno ematico media di 3,28 kilopascal (con un minimo di 2,55 kPa), laddove il valore normale per l’essere umano è di 12-14 kPa e con una soglia considerata critica di 8 kPa.
Mike Grocott (Critical Care Medicine; University College, Londra); New England Journal of Medicine. 08 gennaio 2009.