Le malattie cardiovascolari rappresentano una delle principali preoccupazioni per le autorità sanitarie pubbliche a livello globale. Le attuali evidenze epidemiologiche indicano che le malattie cardiovascolari generano più decessi di qualsiasi altra malattia non trasmissibile, rappresentando 19,05 milioni di decessi ogni anno (il 27% di tutti i decessi nel mondo).
Questo carico di mortalità potrebbe essere ridotto con il miglioramento della forma fisica, grazie al suo effetto protettivo sulla funzione endoteliale e sull’incidenza delle malattie cardiovascolari.
A tale proposito, l’endotelio è stato descritto come un regolatore fondamentale della vasocostrizione, vasodilatazione, delle funzioni delle cellule muscolari lisce, della trombogenesi e della fibrinolisi. Queste funzioni endoteliali sono particolarmente sensibili ai cambiamenti nello stile di vita e migliorano adottando comportamenti sani. Pertanto, esiste un interesse clinico per il suo studio e intervento.
È proprio il ruolo dell’esercizio fisico che solleva diverse domande. Sebbene la relazione tra allenamento aerobico e di forza con la funzione endoteliale e le malattie cardiovascolari sia documentata in letteratura, le prove riguardanti il ruolo degli esercizi di stretching nel modificare la funzione cardiovascolare sono meno chiare.
Tradizionalmente, la prescrizione di esercizi di stretching ha come obiettivo il miglioramento dell’ampiezza di movimento articolare e la coordinazione muscolare.
Recentemente, gli esercizi di stretching sono stati proposti come un’efficace terapia non farmacologica e complementare per migliorare la salute cardiovascolare e modulare diverse risposte cardiovascolari.
Nello studio di Arango-Paternina et al. (Sport Sci Health. 2025. doi: 10.1007/s11332-025-01356-3), gli autori hanno analizzato, tramite revisione sistematica, l’efficacia di un allenamento con esercizi di stretching muscolare sulla funzione endoteliale e sulla rigidità arteriosa.
Sono stati inclusi in totale sette studi. Gli studi hanno analizzato i dati di 279 partecipanti, con un campione di soggetti compreso tra i 22-77 partecipanti. L’età media era compresa tra 22 e 57 anni. La percentuale di donne variava dal 48,7% al 100%.
Tre studi hanno applicato esercizi di stretching passivo, uno ha applicato lo stretching attivo, due hanno applicato entrambi i tipi di stretching e uno studio non ha riportato il tipo di stretching applicato. In due studi, gli esercizi di stretching sono stati applicati agli arti inferiori e in quattro a grandi gruppi muscolari. La durata degli interventi variava da sei settimane a sei mesi e la durata di ciascuna sessione da 15 a 50 minuti. La durata di ciascun allungamento era di 20 s in due studi, 30 s in altri due studi e 45 s in altri due studi. L’intensità degli esercizi di stretching è stata controllata utilizzando il punto di insorgenza del dolore in cinque studi e la scala di sforzo percepito in un altro. I risultati della disfunzione endoteliale e della rigidità arteriosa sono stati analizzati in quattro studi. Uno studio ha analizzato solo i marcatori della disfunzione endoteliale e due hanno analizzato gli effetti solo sui marcatori della rigidità arteriosa. La velocità dell’onda di polso (PWV, Pulse Wave Velocity, che misura la velocità con cui le onde di pressione sanguigna si muovono attraverso le arterie), misurata in cinque diversi siti anatomici, è stata l’indicatore della funzione endoteliale con la più alta frequenza di analisi.
I risultati suggeriscono effetti promettenti degli esercizi di stretching sulla funzione endoteliale, come documentato in precedenti revisioni sistematiche. A questo proposito, la maggior parte degli studi in cui è stata analizzata la disfunzione endoteliale (4/5 studi) ha riscontrato un miglioramento dopo aver applicato protocolli di stretching per un periodo compreso tra otto settimane e sei mesi, con vari parametri di prescrizione degli esercizi.
In letteratura sono stati documentati diversi meccanismi che potrebbero spiegare gli effetti degli esercizi di stretching sul miglioramento della funzione endoteliale. Questi meccanismi coinvolgono adattamenti strutturali e funzionali. Ad esempio, è stato indicato che gli esercizi di stretching inducono il rilascio, la produzione e la biodisponibilità dell’ossido nitrico. Allo stesso modo, è stato scoperto che lo stretching statico può migliorare la distensibilità dell’arteria carotide senza influenzare le proprietà del tessuto elastico del vaso sanguigno e che gli esercizi di stretching passivo possono giovare alla rigidità arteriosa attraverso una riduzione del tono vascolare. Questo meccanismo è spiegato dall’effetto degli esercizi di stretching nel ridurre l’attività del sistema nervoso simpatico, che a sua volta riduce il tono vascolare arterioso. Di conseguenza, la rigidità arteriosa viene ridotta.
Questi risultati hanno implicazioni per la pratica clinica e la salute pubblica, in quanto suggeriscono che l’allenamento di stretching dovrebbe essere eseguito con una frequenza minima di cinque sessioni a settimana, e una durata dell’esercizio superiore a 20 s per raggiungere gli effetti positivi sulla funzione endoteliale. Due studi in cui sono stati riportati cambiamenti non significativi concordavano sull’avere una frequenza di allenamento di tre sessioni a settimana. Un altro elemento da considerare nella pratica è che gli effetti positivi dello stretching sulla funzione endoteliale possono essere annullati alla cessazione dell’allenamento, che può verificarsi tra sei settimane e sei mesi.
Tenendo conto delle prove a supporto dei benefici di diverse modalità di esercizio fisico (aerobico, allenamento ad intervalli, esercizi mente-corpo) nella riduzione della rigidità arteriosa, è possibile che l’integrazione di un allenamento di stretching muscolare nei protocolli di condizionamento con queste varie modalità di esercizio, incrementi l’efficacia nel migliorare la funzione endoteliale.
Inoltre, gli esercizi di stretching muscolare potrebbero rappresentare un’alternativa per coloro che presentano disfunzioni vascolari e muscolari che comportano una limitazione nell’esecuzione di esercizi cardiovascolari di intensità moderata o nell’allenamento della forza; ad esempio, soggetti che soffrono di malattie vascolari periferiche, lesioni alla colonna vertebrale o agli arti inferiori, nonché anziani inattivi. Questi elementi forniscono alternative a basso costo, complessità tecnica ridotta e autonomia applicativa.