Unire pollice e indice di una mano come per afferrare qualcosa o dare un pizzicotto, semplicemente pensando a questo gesto. È quello che riescono a fare con un braccio robotico soggetti amputati e dotati di una protesi realizzata da Dario Farina dell’Imperial College London e colleghi di una collaborazione internazionale in cui figurano anche Francesco Negro dell’Università di Brescia e Massimo Sartori dello University Medical Center Göttingen.
La tecnologia delle protesi robotiche, progettate allo scopo di far recuperare parte della mobilità a soggetti amputati o che hanno subito lesioni spinali, ha conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo tumultuoso, sia nelle sperimentazioni su animali sia nelle applicazioni su esseri umani.
Attualmente i dispositivi per sostituire un arto amputato sfruttano i segnali nervosi che arrivano ai muscoli rimasti, spesso danneggiati, nello stesso arto. La conseguenza è che questo tipo di tecnologia garantisce una funzionalità limitata a uno o due movimenti di presa. E spesso è presto abbandonata dai soggetti con protesi.
Farina e colleghi hanno adottato un approccio diverso, usando sensori collegati direttamente ai motoneuroni, cioè i neuroni che dal cervello percorrono il midollo spinale e si diramano verso i muscoli, controllandone la contrazione.
Quando un arto viene amputato, nervi e muscoli sono interrotti, ed è dunque molto difficile ottenere segnali nervosi utili a far funzionare una protesi. Noi abbiamo spostato l’attenzione dai muscoli al sistema nervoso: ciò significa che la nostra tecnologia può rilevare e decodificare i segnali in modo più chiaro, aprendo la strada a protesi robotiche che potrebbero essere molto più utili e semplici da usare per i pazienti.
Il punto di partenza per questo tipo di protesi è la realizzazione di un’interfaccia neurale, cioè del dispositivo in grado di registrare, decodificare e mappare correttamente il segnale nervoso da indirizzare all’arto robotico. Per questo, la fase preliminare dello studio prevedeva il “reinstradamento” dei motoneuroni destinati alla protesi, che sono stati collegati chirurgicamente a muscoli sani, come per esempio i pettorali o i muscoli del braccio.
Una volta decodificato ed elaborato al computer il corretto segnale nervoso per il controllo dei movimenti naturali, gli autori hanno innestato i sensori neurali ai muscoli reinstradati chirurgicamente e li hanno collegati alla protesi, costituita da un braccio artificiale completo, dall’omero alla mano, del tutto simile a quello naturale, anche nelle principali articolazioni del gomito, del polso, e delle dita.
La sperimentazione della protesi completa è stata condotta su sei volontari con braccio amputato a diversi livelli, dalla spalla a poco prima del gomito. Dopo un ciclo di fisioterapia, i soggetti amputati hanno acquisito una gamma di movimenti più ampia di quella garantita dalle protesi robotiche convenzionali comandate dai muscoli residui. Per esempio sono riusciti a flettere il braccio al livello del gomito, e a fare movimenti radiali con l’avambraccio, ruotando cioè la mano verso l’alto e verso il basso, oltre ad aprire e chiudere la mano stessa in una presa.
Completata questa prima fase dimostrativa della correttezza del nuovo approccio e funzionalità del braccio robotico, gli autori sperano presto di arrivare a uno studio clinico su un più vasto gruppo di pazienti.
Dario Farina,Imperial College London; Francesco Negro, Università di Brescia e Massimo Sartori, University Medical Center Göttingen;”Nature Biomedical Engineering”.